Un’associazione no profit: la legge 266/1991

Gli anni Novanta cominciarono, per l’A.F.D.S. e per le associazioni di volontariato, con una serie di interventi legislativi volti a disciplinarne l’attività così come la figura del volontario operante all’interno della struttura. La normativa nuova fece riferimento soprattutto alla Legge 266/91 che verrà trattata brevemente per l’importante valorizzazione che diede alle organizzazioni cosiddette “no profit”. Una valorizzazione che non riguardò solo il piano squisitamente sociale e specifico, inerente all’oggetto e al fine proprio dell’associazione in questione, ma anche ad un piano sociale e civile più vasto. A motivo di ciò apriamo una piccola parentesi.

La Legge 266/91 definisce la figura del volontario come soggetto che elargisce prestazione personali che sono – per l’appunto – volontarie e gratuite. Il soggetto aderente all’associazione non può richiedere alcuna corresponsione economica, ad eccezione di un rimborso per le spese sostenute. La retribuzione non è prevista nemmeno per il beneficiario, e quindi il volontario e l’associazione di volontariato di cui fa parte possono svolgere l’attività inerente ai propri scopi sociali ed istituzionali, per solidarietà e senza fine di lucro, e sono incompatibili con qualsiasi forma di lavoro subordinato od autonomo. A tale scopo l’ente collettivo più adatto è l’associazione, organizzazione sociale i cui fini trascendono i singoli componenti per soddisfare bisogni ideali e non economici. La Legge prevede che nello statuto specifico (o negli accordi degli aderenti) sia specificato l’assenza di fine di lucro, la democraticità della struttura, l’elettività e la gratuità delle cariche associative, la gratuità delle prestazioni personale degli aderenti, nonché i criteri di ammissione e di esclusione, gli obblighi e i diritti degli associati, obbligo di formazione del bilancio e sue modalità di approvazione. L’assenza di scopo di lucro prevede che eventuali avanzi di gestione non dovranno essere distribuiti ai soci, ma dovranno rientrare nella gestione dell’anno successivo. La democraticità dell’associazione impone il divieto di voti plurimi per alcuni i soci, o l’esclusione di alcuni, oppure divieto di riservare o escludere determinate categorie di soci. Una carica associativa dell’A.F.D.S. non dovrà essere attribuita a soggetti diversi fra quelli designati dall’Assemblea dei Soci. L’elettività e la gratuità delle cariche significa che la legge non contempla gettoni di presenza, così per i soci sulla base di quanto espresso prima. Per quanto riguarda la formazione del bilancio, invece, il contenuto della Legge 266/91 punta alla trasparenza degli atti, verso l’associazione intera e verso gli associati senza alcuna distinzione, senza esclusioni o privilegi.

La Sezione A.F.D.S. ha l’obbligo di consegnare copia del bilancio annuale all’Associazione Provinciale, assieme alla copia del verbale dell’Assemblea dei Soci Donatori, nonché all’eventuale relazione economico-finanziaria dei Revisori dei Conti. La trasparenza del bilancio verso gli associati riconosce il diritto di esibizione, e prevede sanzioni per la mancata presentazione all’Associazione nei termini previsti, nonché sanzioni penali per il Presidente, Segretario e Revisori dei Conti in caso di false attestazioni.

La trasparenza, inoltre, impone l’obbligo della conservazione di una serie di documenti della Sezione attinenti alla propria vita associativa (Verbali, elenchi e registri). La Legge 266/91 preannuncia nei suoi contenuti e propositi una ridefinizione più specifica degli enti no profit ed una loro collocazione più autonoma come Terzo Settore fra Stato e privati, nonché una riforma fiscale che sarà varata dalla finanziaria 1996. L’art. 5 della sopraccitata legge prevede e distingue sette categorie di risorse economiche. Le prime cinque sono: i contributi degli aderenti, dei privati, dello Stato o di altre Istituzioni Pubbliche, di organismi internazionali, donazioni e lasciti testamentari. Queste cinque categorie sono completamente esenti da imposizione fiscale, e ovviamente i contributi dovranno essere finalizzati agli scopi sociale, e il contributo non dovrà impegnare l’organizzazione di volontariato ad alcun rapporto obbligatorio o prestazione. Le altre due categorie sono le convenzioni e le attività commerciali e produttive marginali. Le convenzioni sono accordi stipulati fra le associazioni di volontariato e gli enti territoriali di produzione di beni e rimborso dei relativi oneri (art. 7). Le attività commerciali e produttive marginali, per l’esenzione fiscale, devono rientrare nella fattispecie prevista dal Ministero delle Finanze: attività di vendita occasionale in celebrazioni, ricorrenze, campagne di sensibilizzazione; vendita di beni acquisiti da terzi e venduti direttamente; cessione di beni degli assistiti e dei volontari in modo diretto; somministrazione occasionale di alimenti e bevande in occasione di manifestazioni; prestazioni di servizi resi per finalità istituzionali verso corrispettivi che non eccedano il 50% dei costi sostenuti dall’associazione. Le ultime due categorie non godranno di esenzione fiscale di IRPEG e ILOR se non sono rientranti in queste cinque categorie. Attività che dovranno comunque essere indirizzate per fini istituzionali (art. 8). Le agevolazioni ed esenzioni fiscali della Legge 266/91 riguardano anche altre imposte e diritti (Iva, Imposta di Registro e di Bollo, Imposta Comunale sulla Pubblicità e Affissioni, Diritti SIAE, INVIM, ICI, ICIAP). Menzioniamo qui, senza esaminarli, altri aspetti della Legge 266/91 che comportano la possibilità da parte dell’associazione no profit di assumere personale retribuito, con rapporti di lavoro autonomo o dipendente, “nei limiti del loro regolare funzionamento o concorrenti a qualificare e specializzare le attività da loro svolte” (art. 3).

L’importanza fondamentale della Legge 266/91 risiede nel fatto che il governo e la classe politica hanno messo mano ad una novazione legislativa per dare maggiore identità, autonomia ed efficacia alle associazioni operanti nel cosiddetto Terzo Settore. Le attività del Terzo Settore sono quelle che non rientrano né nel mercato del profitto né fra lo Stato, ma organizzazioni private che non perseguono scopo di lucro e la cui finalità consiste nell’erogazione organizzata di servizi di utilità collettiva. Nel Terzo Settore sono compresi gli enti no profit come le associazioni di volontariato, e le persone che in Italia occupano gli enti no profit negli anni Novanta sono circa dieci milioni, circa il 5% del lavoro occupato, costituendo un indiscutibile primato europeo. L’Italia segue la scia degli Stati Uniti dove prevale una politica di convenzionamento e di collaborazione fra lo Stato e le organizzazioni sociali no profit, per la produzione di beni e di servizi e per la realizzazione di programmi pubblici. L’esempio più noto e vicino a tutti noi è la forma contrattuale con la quale lo Stato o gli enti pubblici acquistano il plasma “autoctono” secondo forme di convenzionamento con le nostre associazioni di donatori. Il Welfare ha bisogno delle nostre associazioni per il soddisfacimento di molte sue finalità nei servizi della persona, come la sanità, l’assistenza e l’ambiente. Stiamo diventando importanti, sempre di più, è questo che vogliamo dire, che non siamo solo folclore ma svolgiamo un altro preciso e significativo ruolo. Ora siamo ancora agli inizi, ma con il 2005 sarà emanata una legge più completa ed esaustiva.