Un progetto per l’umanità

Le moderne trasfusioni di sangue in Italia nacquero durante il secondo conflitto mondiale. I tempi e le condizioni difficili della guerra resero la donazione del proprio sangue una necessità vitale. La fine della guerra non impedì alla tematica sulle trasfusioni, di sopravvivere nei propositi e negli ideali che animarono parte del personale medico e di gruppi di volontari.

Nel 1949, in Friuli presso l’Ospedale di Udine, fu organizzata la prima raccolta del sangue in flaconi. Sul finire degli anni Cinquanta furono moltiplicati gli sforzi per incrementare il numero di donazioni.

Furono lanciate campagne di informazione e propaganda, cultura e persuasione, con l’obiettivo di spiegare alla popolazione quali fossero gli effetti benefici, sociali e umani, della donazione del prezioso sangue a chi ne avesse bisogno, garantendo salute fisica e gratificazione d’animo, superando i pregiudizi del passato ancora condivisi oggi in gran parte dall’opinione pubblica.

Nel Friuli-Venezia Giulia, si costituì a Udine, il 22 ottobre 1958, l’Associazione Friulana Donatori di Sangue (A.F.D.S.) per opera di un gruppo di volontari guidati da don Antonio Volpe.

I firmatari dell’atto costitutivo furono: don Antonio Volpe, Lino Colpi, Evaristo Cominotto, Valerio Mattioli, Ede Perini, Aristide Peressutti (riconosciuta con Decreto Prefettizio 7081-III del 6 febbraio 1959).

L’A.F.D.S era sorta in contrapposizione all’AVIS, l’Associazione Volontari Italiani Sangue, che raggruppava la maggior parte delle associazioni locali. Con l’A.F.D.S i friulani richiesero l’autodeterminazione della gestione della donazione e delle sue finalità. I fondatori vollero, oltretutto, che le operazioni di trasfusione fossero affidate direttamente ai centri trasfusionali, allo scopo di garantire la massima serietà e sicurezza, oltre ad evitare pericolose speculazioni commerciali attorno al dono del sangue.

Nel 1959, La neonata associazione friulana aderì all’iniziativa di altre associazioni di donatori di sangue della Liguria e del Piemonte, creando una federazione aperta a tutti i sodalizi e movimenti italiani che si erano prefissi il medesimo scopo. Nacque perciò a Torino la Federazione Italiana Donatori Autonomi Sangue (F.I.D.A.S.), per raggruppare in tutta la penisola le associazioni autonome – o che manifestarono volontà di autonomia – dall’AVIS. Anch’esse erano, pur nella loro radicata territorialità, motivate nella propria causa, dai principi etici e morali ai valori universali di solidarietà e fratellanza.

L’associazione friulana sorse e si sviluppò nel Centro di Medicina Trasfusionale dell’Ospedale di Udine, promossa dal prof. Giancarlo Zanuttini, allora direttore del Centro, e guidata dal prof. Roberto Venturelli.

Il primo presidente fu Giovanni Faleschini di Osoppo. Con Faleschini l’A.F.D.S si diffuse nell’intero territorio della provincia di Udine di cui allora faceva parte anche Pordenone. Le prime sezioni si costituirono presso i luoghi di lavoro grazie allo zelo e all’entusiasmo di molti “pionieri” desiderosi di adoperarsi al meglio per la salute e il bene pubblico.

La pratica del dono del sangue si diffuse dal centro alla periferia, dal vertice alla base organizzandosi in una struttura ramificata e capillare che in pochi anni raccolse vasti consensi. Fu creata la Giornata del Donatore quale festa celebrativa di ogni sezione, furono organizzati i congressi provinciali, ossia le assemblee convocate per la presentazione del bilancio e del consuntivo annuale dell’associazione.

I “padri fondatori” furono personalità carismatiche e volenterose, che dall’alto verso il basso instillarono una cultura e un’etica del dono nella vita sociale, adeguandosi e plasmandosi alla ricca e variegata realtà del nostro territorio. Fu un progetto razionale, aperto e illuminato, filiazione di una cultura “positiva” della ricostruzione che animò grossa parte delle classi e degli individui “illuminati” nei primi anni del dopoguerra. Era esso una cultura della fiducia nel progresso e nella scienza per il costante miglioramento sociale ed economico della popolazione, di quella cultura umanitaria, che, facendo propri, in quei laboriosi anni, i principi dell’universalismo, considerava l’umanità intera un consorzio unico di popoli e individui, senza distinzione alcuna di razza, di religione o di altre condizioni sociali. Una filosofia del Novecento che interpretava l’uomo, il singolo, come artefice e arbitro del proprio destino e della propria libertà. Il sangue era l’elemento comune ad ogni uomo, veicolo naturale che incarnava l’uguaglianza umana. Il dono del sangue, perciò, cercava di dare a tutti indistintamente le stesse opportunità di vita.

Questo fu lo spirito di coloro che crearono l’Associazione Friulana dei Donatori di Sangue nella nostra Regione, in Italia, nel Mondo e la storia della nostra gente, del nostro paese seguì questa scia.

La nascita dell’A.F.D.S Pordenone

Nel 1958 la provincia di Udine comprendeva ancora i territori della Destra Tagliamento e le sezioni della zona facevano riferimento all’A.F.D.S. Udine.

Le prime sezioni della Destra Tagliamento che entrarono a far parte dell’A.F.D.S. furono Spilimbergo e Sacile che all’epoca comprendevano i territori dei comuni limitrofi. Nel 1956 era sorto il primo nucleo di donatori nella città liventina, mentre nel 1957, nella città del mosaico, si era costituito un piccolo sodalizio di quarantasei aderenti guidato dal signor Evaristo Cominotto, commerciante di Spilimbergo e uomo noto in tutta la Regione.

Il gruppo di Spilimbergo si formò in parte grazie al personale medico dell’ospedale locale e dell’Ospedale di Udine. Nel 1958, assieme al gruppo di Sacile, aderì all’Associazione Friulana A.F.D.S. e negli anni successivi fu il promotore dell’A.F.D.S. del Circondario della Destra Tagliamento (1965) la quale diventò poi nell’A.F.D.S. Provincia di Pordenone nel 1968, in seguito alla nascita dell’Ente Provincia autonomo di Pordenone e poi nel 1972 con la sua costituzione ufficiale.

L’A.F.D.S. PROVINCIA DI PORDENONE nacque a Spilimbergo l’8 luglio 1972 con atto notarile che introdusse lo Statuto e Regolamento fissando i principi fondamentali dell’associazione, le finalità sociali, la struttura articolata e decentrata, la territorialità, i vincoli, i limiti, il nome e l’emblema.

Nel 1972 l’A.F.D.S contava ben 32 sezioni. Evaristo Cominotto ne fu il primo presidente. Negli anni successivi si susseguirono il dottor Mario Pollastri, Bruno Zavagno, Paolo Anselmi, Ivo Baita. In questi anni le sezioni raggiunsero il numero massimo di 43 per poi ridursi a 40 e poi 39 negli anni recenti.

La sede provinciale fu stabilita dapprima presso la sede dell’Ospedale Civile di Spilimbergo, in seguito, nel 1991, a causa di lavori di ristrutturazione del complesso ospedaliero, fu spostata nei locali di Palazzo Lepido. Negli ultimi anni la nuova sede è stata trasferita in via Marconi, 16 e nel 2015 in via Udine, 1 ove si trova tuttora.

L’A.F.D.S. a San Giorgio della Richinvelda

Nel 1963 i paesi del Comune di San Giorgio della Richinvelda fondarono una propria sezione donatori di sangue A.F.D.S separandosi da Spilimbergo. La nuova sezione comunale nacque il 24 maggio al termine di un’appassionata assemblea tenutasi nelle sale del Municipio Comunale.

Furono presenti il sindaco Lorenzo Ronzani e il Presidente della sezione di Spilimbergo Evaristo Cominotto.

Nella sala consigliare si procedette alle elezioni del direttivo. Fu eletto Presidente il dottor Mario Pollastri, direttore enotecnico alla Cantina Sociale di Rauscedo; vice-presidente Alberto Zanetti. Consiglieri: Sante Lenarduzzi, Siro Pasquin, Dionisio Fanello, Sante Bratti, Rinaldo Volpatti. Segretario: Pietro Pasutto. Cassiere economo: Angelo Gei.

Il 26 maggio si svolsero le celebrazioni a Rauscedo nelle sale dei Vivai Cooperativi in occasione della rinomata sagra del vino.

Ciascuna delle sette frazioni aveva un proprio gruppo di volontari con un proprio capo responsabile. La sezione contava, alla fine del 1968 (anno in cui subì il primo strappo con Domanins) ben 115 donatori attivi su 183 soci donatori totali.

 

I sette paesi uniti conobbero la Giornata del Donatore, le gite sociali, gli incontri formativi per i temi medici. In questi anni un’unità mobile stazionava a San Giorgio per effettuare i prelievi. La Sezione Comunale fu premiata con medaglia d’oro, affissa sul Labaro, al Congresso A.F.D.S di Tricesimo nel 1963, per il consistente numero di donazioni e per l’impegno dimostrato nella loro attività.

Il gruppo dei donatori di Domanins

Il gruppo di Domanins, secondo l’opinione del presidente dottor Pollastri, fu “attivissimo”. Nell’ottobre del 1968, infatti, la neonata sezione autonoma di Domanins ottenne un riconoscimento particolare da parte dell’associazione circondariale: una medaglia d’oro per il numero di donatori e per le donazioni effettuate. Nel primo anno di attività: 37 donatori attivi e 47 donazioni.

Il primo nucleo di donatori di Domanins nacque in seno all’associazione Combattenti e Reduci. Le prime trasfusioni di sangue effettuate di volontari di Domanins, sotto l’insegna dell’A.F.D.S. (sezione di Spilimbergo), risalgono al 1960 o 1961.

Il capogruppo era Sante Lenarduzzi Santìn, postino di Domanins e Rauscedo e personaggio molto noto e stimato per l’innata simpatia e l’affabilità che dimostrava sempre verso chiunque.

Il pustìn (come veniva chiamato da tutti in paese e da chi lo conosceva) era dotato di un linguaggio semplice e di un approccio socievole, pronto alla battuta di spirito così come a discorsi arguti e riflessivi. Il suo merito, e dei primi volontari e donatori, era la capacità di coinvolgere le persone alla solidarietà e all’impegno sociale in modo continuo e non solo occasionale.

All’epoca il volontariato e l’associazionismo rivestivano un’importanza notevole presso la popolazione, molto più dei tempi attuali. La solidarietà e la cooperazione rappresentavano valori basilari che superavano la sola dimensione economica dell’individuo e della famiglia.

Il dono del sangue era il gesto più spontaneo e naturale, il più facile e diretto per avere la sensazione di dare e di avere la capacità di dare.

I primi donatori conobbero e applicarono sin da subito i fondamenti di questa etica che l’A.F.D.S auspicò e sostenne.

Il donatore deve concepire il proprio dono con dignità, rispettando sempre ed ovunque le norme di moralità, di buona condotta e di solidarietà umana. 

Il dono non è un vanto, un orgoglio o fierezza, ma un dovere sociale.

Il donatore non accetta compensi economici.

Il donatore deve essere sincero nel suo criterio di autoesclusione nei casi di pericolo infettivo legato al proprio sangue.

Il donatore deve avere il senso di responsabilità, l’onestà, la correttezza di condurre una vita sana ed equilibrata per essere sempre disponibile ad ogni successiva donazione.

Il medico trasfusionista, da parte sua, deve osservare le stesse norme che tutelano la salute del donatore e la sua correttezza per il giusto funzionamento della donazione.

I donatori si recavano ai vari centri trasfusionali con questo spirito. La cosa più bella era andare in compagnia, soprattutto per chi donava per la prima volta. C’era chi ci andava per convinzione, chi per imitazione degli altri o per non esser di meno, chi per curiosità e chi amava forse gustarsi una gustosa bistecca dopo la donazione.

La maggior parte dei donatori di Domanins aveva come punto di riferimento il Centro Trasfusionale di Spilimbergo, ossia l’ospedale più vicino a casa. Venivano prelevati 250 mg di sangue, sia agli uomini che alle donne.

L’A.F.D.S, per incentivare e meglio sollecitare la pratica della donazione, pensò di premiare i donatori assidui e furono perciò introdotte le “benemerenze”. Dopo 10 donazioni, infatti, gli uomini ricevevano un diploma con medaglietta in segno di riconoscimento, mentre le donne ricevevano il premio dopo le 8 donazioni. Dopo 25 donazioni per gli uomini e 16 per le donne, i donatori benemeriti erano premiati con un distintivo di bronzo. Con 35 donazioni agli uomini e 28 alle donne spettava un distintivo d’argento. Infine, un distintivo d’oro veniva assegnato dopo 50 donazioni agli uomini e dopo 40 alle donne. In seguito saranno introdotte col tempo ulteriori benemerenze.

Il Diploma di Benemerenza veniva assegnato agli uomini dopo 10 donazioni e alle donne dopo 8. I riconoscimenti venivano consegnati ai benemeriti (o ai loro presidenti di sezione) durante il Congresso Provinciale che si teneva annualmente. Il primo attestato fu conferito a Sante Lenarduzzi in occasione dell’VIII° Congresso A.F.D.S di Udine, il 25 settembre 1966. La medaglietta posta sotto l’intestazione è stata volutamente tolta dal benemerito per affiggerla sul Labaro della futura Sezione di Domanins.

Furono quattro i donatori di Domanins che ottennero una benemerenza in questo periodo.

Lenarduzzi Sante  donazioni 10 Diploma di Benemerenza 1966
Pancino Arcangelo  donazioni 10 Diploma di Benemerenza 1967
Tondat Giuseppe  donazioni 10 Diploma di Benemerenza 1967
Lenisa Francesco donazioni 10 Diploma di Benemerenza 1967

I primi anni di questo gruppo attivo e affiatato volarono via fra donazioni, scampagnate e allegre bicchierate in compagnia e così si giunse all’agosto del 1967 quando il capogruppo Sante Lenarduzzi presentò la formale richiesta in Sede circondariale per la costituzione di una Sezione autonoma a Domanins. Il gruppo desiderava “elevarsi” a Sezione per esigenze squisitamente pragmatiche. Era un gruppo consistente e in costante crescita e quindi agevolare la propria gestione. La Sezione autonoma, inoltre, avrebbe interpretato nel modo migliore l’entusiasmo e l’orgoglio di un paese unito, che non era mosso da spirito campanilistico. La Sede circondariale fu favorevole e accolse l’istanza il 20 novembre.

Il Presidente Mario Pollastri commentò con ottimismo e speranza “la nascita di una nuova pianta che darà i suoi frutti”, ma confessò però anche un piccolo e umano rincrescimento per il venir meno dell’unità della propria Sezione, soprattutto da parte di un gruppo unito e meraviglioso.

Il gruppo effettuò, dalla fondazione dell’A.F.D.S Udine fino all’autonomia, un totale di 227 donazioni con 56,30 litri di sangue donato.

La sera del 13 dicembre 1967 i soci donatori si riunirono per eleggere le cariche sociali. La votazione si svolse sotto la Presidenza del cav.  Evaristo Cominotto e del Segretario cav. Gianni Colomberotto.

Alle ore 22.30 le operazioni erano terminate. Fu eletto Presidente di Sezione: Sante Lenarduzzi. I Consiglieri: Vally Pellegrin (Vice Presidente), Bruno Santin, Giuseppe Tondat, Vittorio Drigo (Rappresentante dei Donatori). Revisori dei Conti: Donato Venier, Felice Pancino, Umberto Soldai.

Il Pellicano

Il Pellicano, simbolo dell’Associazione Friulana dei Donatori di Sangue, scelto dai Padri Fondatori udinesi, è in realtà un simbolo antichissimo. Esso appartiene alla storia e all’esegesi della simbologia religiosa. Tutti i simboli hanno un’origine religiosa o spirituale, facente capo ad una tradizione che nasce fin dalle origini dell’umanità, o almeno, da quando l’uomo ha cominciato a dare un significato e rappresentazione al legame tra la dimensione ultraterrena della vita dell’individuo e dell’universo. Il Pellicano appartiene al nostro retroterra giudaico-cristiano, come anche a quello islamico ma lo si può trovare anche nelle religioni etniche dell’antichità. In Grecia o nella tradizione alchemica, fino a giungere nell’età moderna, il Pellicano è riprodotto e utilizzato dalle società massoniche (in particolare da quella va sotto il nome di Rosa Croce), allo scopo di portare alla luce gli antichi valori sacri delle religioni e delle tradizioni spirituali ma anche di trasmutarli in una valenza unicamente laica e profana. Ma qual è dunque il significato del Pellicano? La storia dell’Antico Testamento è piena di racconti di animali delle più svariate specie e dei loro rapporti con l’uomo e con Dio. Il Pellicano ha la caratteristica singolare dell’animale adulto che si lacera il torace per offrire il proprio sangue ai propri piccoli per nutrirli. Questa particolare immagine è stata espressa e proposta, nell’ambito cristiano dai riferimenti sacri, religiosi o iniziatici, della letteratura profana medievale come il Bestiario Medievale e la Divina Commedia. Il Pellicano assurge addirittura a rappresentare il sacrificio di Cristo per i propri figli dell’umanità. Il Physiologus, nel Bestiario, narra del sacrificio dell’animale e anche nella versione dell’uccisione da parte del Pellicano adulto dei propri figli che continuamente lo pizzicano. Dopo tre giorni, la madre Pellicano prova compassione per i figli morti e il terzo giorno li resuscita offrendo loro il proprio sangue. Il “divino” Dante nel XXV Canto del Paradiso descrive l’apostolo Giovanni come colui che riposa sul petto del Pellicano. Appartiene sempre al Bestiario, inoltre, una poesia del tredicesimo secolo che inneggia al “Pie Pellicane, Jesu Domine” Nostro Signore. Resurrezione, redenzione e l’amore di Cristo per l’uomo e dell’uomo per Cristo. Cristo che si sacrifica per l’umanità o il Padre che fa crocifiggere il Figlio per poi resuscitarlo dopo tre giorni. Nelle religioni politeistiche dell’antichità, il Pellicano era simbolo di sacrificio rituale di sangue; nell’alchimia, il sangue del Pellicano era equiparato alla Pietra Filosofale. La trasmissione del sangue è assimilata perciò al mistero dell’Eucaristia. Il sangue donato non è buono solo per il gesto morale in sé ma anche perché la trasmissione porta con sé la predisposizione etica – la bontà – in chi lo riceve. Papa Giovanni XXIII nel suo pontificato compone la poesia “O Pio Pellicano”. Possiamo anche notare (anche se non suffragata da alcuna collegamento) l’analogia dell’inizio del papato di Angelo Roncalli (29 ottobre 1958) con la fondazione dell’A.F.D.S. (22 ottobre 1958).

Il sangue donato dal sacrificio del Pellicano, nel Cristianesimo, non è solo un’affermazione del dogma fideistico, ma soprattutto della carità. Il dono del sangue è un valore di purezza: “non si vive solo per nutrirsi ma ci si nutre per vivere”. Si vive per donare. Questa è la purezza del Pellicano, valore spirituale invisibile, come invisibile è il raro animale. Il Pellicano è anche diventato un’icona universale di ogni ideale che comporti l’abnegazione della propria persona e della propria vita e, quindi, il dono di sé. Il Pellicano è un simbolo nato non per caso. Quali siano stati i motivi della sua adozione da parte dell’Associazione Friulana dei Donatori di Sangue nata a Udine cinquantasette anni fa. Ciò che qui ci è sufficiente dire è che nel secondo dopoguerra, quando nacque l’Associazione Friulana dei Donatori di Sangue, i valori religiosi del Pellicano portarono la bandiera dei lavori della carità, della generosità e gratuità del dono di sé verso l’umanità bisognosa, senza distinzione di razza, di religione o di regimi politici. Su questo spirito s’incamminarono i padri fondatori, i donatori e tutti i volontari che diedero il loro piccolo o grande contributo per la crescita della nostra associazione.