Un paese di donatori
Nel 1972, a Domanins, si registrarono una novantina di donatori iscritti su di una popolazione di 800 abitanti circa. Perciò, dal 1970, il numero dei donatori attivi continua la propria crescita. Il numero di donazioni conferma una quota molto alta che testimonia una continuità. Sin dall’epoca dei primi donatori a Domanins, nel 1960 o 1961, fino alla fondazione della Sezione nel 1967-‘68, i litri di sangue donato sono stati complessivamente 56,30. Nel solo quadriennio dal ’68 al ’72, invece, con la nuova A.F.D.S. Domanins sono stati donati ben 58,50 litri di sangue.
A Domanins l’entusiasmo si diffuse in tutte le fasce d’età. Parecchi furono i giovani che s’iscrissero alla nuova associazione. Molti di loro lo facevano per una sincera volontà di donare il sangue, altri per la sola curiosità di provare un’esperienza diversa, e c’era chi invece s’iscriveva ma poi alla fine non ci andava, altri, invece, ci andavano solo per stare assieme ai propri coetanei o alle proprie coetanee che frequentavano il Circolo Giovanile. In questo periodo, i donatori più assidui e appassionati incominciarono a collezionare le benemerenze: dieci donazioni per gli uomini e otto per le donne. Le premiazioni rappresentavano per il donatore una grande soddisfazione. Era segno che il nuovo messaggio aveva attecchito.
Ciò che colpisce di più l’osservatore attento, fra coloro che più apprezzano l’attività dei donatori di sangue, è che questi dati, apparentemente aridi, rappresentano una crescita costante nel tempo senza grosse soluzioni di continuità. Inoltre, il dato sorprende ancora di più se compariamo la crescita del numero di donazioni agli abitanti del paese. A Domanins si registrò una crescita progressiva sino ad oggi. Siamo arrivati, dalle origini fino ai giorni nostri con il risultato di un donatore attivo ogni sette abitanti e una donazione di sangue e/o emocomponenti, ogni quattro. “37 donatori attivi e 47 donazioni su una popolazione di 950 individui”: così era iscritto sulla medaglia d’oro del 1968.
Nel 2008 abbiamo raggiunto la quota record di 209 donazioni. Da un esame attento dei dati disponibili, si può costatare un altro fatto rilevante. Alle origini, e del resto in tutta la storia complessiva, fino all’ultimo anno di attività, la stragrande maggioranza dei donatori della nostra Sezione è abitante od originario di Domanins. Infatti, se consideriamo l’origine famigliare o la residenza del donatore, per di più facendo rientrare anche i legami sociali “stabili” dei medesimi (vale a dire: matrimoni, coppie ecc. … ), con l’esclusione dei semplici amici, dei colleghi di lavoro o di altri simpatizzanti, scopriamo che i donatori di Domanins raggiunsero – e raggiungono oggi – la percentuale del 95% sul totale dei donatori.
Nei nostri ultimi anni di attività, questa percentuale si aggira sul 95-96% del totale dei donatori attuali, attivi e sospesi temporanei. Lungi dall’esserci fatti pubblicità e propaganda fuori paese, nelle scuole o nelle fabbriche – il che sarebbe stato senz’altro un bene e un valore aggiunto – noi dell’A.F.D.S. possiamo affermare che la solidarietà e il valore sociale in senso stretto hanno sempre costituito una carta d’identità del nostro paese.
All’inizio degli anni Settanta l’attività della raccolta di sangue intero avveniva con flaconi sterili e con la conservazione e distribuzione degli stessi. Nei primi anni del decennio, l’introduzione delle sacche di plastica cambiò i criteri con i quali era impiegato il sangue. Da allora il sangue è raccolto in sacche multiple in plastica, unite fra loro in modo sterile. Questo processo era finalizzato alla ricerca della sicurezza nella donazione così come nella garanzia della fedeltà.
Con questi valori e con questi numeri, per tutti gli anni settanta, l’A.F.D.S. Domanins crebbe, espandendosi ed inserendosi in diverse attività e arricchendo la propria immagine. L’Associazione dei Donatori di Sangue cominciò ad assumere la forma attuale che tutti conosciamo.
All’epoca furono raggiunti i primi concreti obiettivi, non sporadici e passeggeri, ma duraturi: stava nascendo una coscienza trasfusionale e una pratica della donazione periodica e non solo occasionale, che proveniva direttamente dalla volontà della persona e dall’entusiasmo di un gruppo unito.
Nel 1973, per la prima volta, la Giornata del Donatore diventò una festa di paese che si svolse in una zona verde vicino al torrente Meduna. La bella scampagnata – inaugurata il 24 giugno – diventò l’appuntamento estivo fisso dell’ultima domenica di luglio. La Festa del Donatore, ossia la “Porchetta” – come sarà denominata negli anni a seguire, per il pranzo a base di carne di maiale, suo piatto principale – è sempre stata una vera e propria sagra di paese. Fu un’invenzione così singolare tale da essere ancora unica nel suo genere, fra tutte le feste e le ricorrenze dell’A.F.D.S. della Provincia di Pordenone.
Nel 1976, il Friuli conosce la tragedia del terremoto e Domanins conosce la solidarietà che i volontari del dono del sangue dimostrano fra loro. L’A.V.I.S. di Turbigo, cittadina della provincia di Milano, contribuisce con aiuti economici e in conto materiali per la ricostruzione delle case e per aiutare le famiglie disagiate. Fra la nostra sezione e il sodalizio lombardo rimarrà una solida amicizia con un gemellaggio che durerà almeno quindici anni.
Nel 1977 nasce a Pordenone la Via di Natale per opera di Franco Gallini e della moglie Carmen. La Via di Natale si forma come un’associazione a scopo benefico e umanitario con lo scopo di ospitare i malati terminali oncologici. Con la Via di Natale, l’A.F.D.S. della Provincia di Pordenone instaura sin da subito un rapporto di amicizia, di collaborazione reciproca e di sostegno, attraverso offerte generose e l’organizzazione di manifestazioni a carattere ludico e creativo.
In questo decennio l’A.F.D.S. Domanins comincia ad acquisire notorietà all’estero presso la comunità di emigranti domaniniesi e friulani, grazie alla gradita opera dell’Ente Friuli nel Mondo. Il pensiero rivolto all’emigrante accompagnerà tutta la storia dell’associazione.
23 marzo 1972: Premiazione di Giacomo Lenarduzzi (sopra) e Natalino Lenarduzzi (sotto).
Le premiazioni dei donatori benemeriti furono pubblicate sui quotidiani locali. Per i riconoscimenti maggiori, gli articoli erano corredati dalle foto dei benemeriti. Questo numero del 1972 ritrae Sante Lenarduzzi (terzo da sinistra nella sequenza in basso) premiato con la medaglia di bronzo per 25 donazioni effettuate. Il 3 ottobre 1975 ritrae Sante Lenarduzzi premiato con la Medaglia d’argento, 35 donazioni.
Giornata del Donatore del 23 marzo 1972. Invitato speciale: il presidente A.F.D.S. provinciale Evaristo Cominotto.
Da sinistra a destra si riconoscono: geom. Luigi Luchini, Angelo Gei, rev. don Gallo Moschetta, dott. Ferrari, sindaco Lorenzo Ronzani, Evaristo Cominotto e Sante Lenarduzzi.
La Provincia di Pordenone
Nel 1972, l’A.F.D.S. di Domanins fu al suo secondo mandato elettivo. Il Consiglio per il nuovo quadriennio fu eletto il 19 febbraio.
Al termine dello scrutinio, il nuovo Consiglio Direttivo fu così composto: presidente Sante Lenarduzzi, vice-presidente Luigi Luchini, segretaria e rappresentante dei donatori Vally Pellegrin. Consiglieri: Valerio Lenarduzzi, Bruno Santin, Costante Basso, Vittorio Drigo. Revisori dei Conti: Felice Pancino, Donato Venier, Luigi Tondat.
Non ci furono grossi cambiamenti rispetto al quadriennio passato. Il gruppo dei donatori fu molto affiatato e guidato da un Consiglio meritevole. Il punto di riferimento per i donatori rimase sempre il Centro Trasfusionale di Spilimbergo.
Il 1972 passò alla storia come l’anno che offrì un avvenimento più grande e importante: le Sezioni A.F.D.S. della Destra Tagliamento, allora riunite nel Circondario facente capo a Spilimbergo, acquisirono l’autonomia ufficiale e completa dall’A.F.D.S. Udine, e si costituirono come Associazione Friulana dei Donatori di Sangue della Provincia di Pordenone, in seguito alla nascita, nell’aprile di quattro anni prima, dell’Ente Amministrativo “Provincia di Pordenone”.
“La già funzionante Associazione (Atto costitutivo pag. 3) viene regolarizzata ai sensi del Codice Civile quale Associazione autonoma dei Donatori di Sangue di Pordenone, con sede provvisoria in Spilimbergo”. (art. 1, Atto costitutivo). L’autonomia da Udine e dalla “Patria dal Friûl” era, ora, effettiva e totale.
La riunione si svolse il giorno 8 luglio a Spilimbergo presso la sede accanto all’Ospedale Civile. Notaio fu il dottor Cesare Marzona. I convenuti, rappresentanti delle sedici sezioni della Destra Tagliamento, furono: cav. Cominotto Evaristo di Spilimbergo, dott. Tonello Giovanni di Sacile, Poletto Eleonardo di Caneva, Viel Luigino di Sequals, Colomberotto Gianni di Spilimbergo, rag. Ronzani Lorenzo di Rauscedo (S. Giorgio della Richinvelda), Gai Beniamino di Caneva, Zavagno Bruno di S. Martino al Tagliamento, Cicuto Giovanni di Pinzano al Tagliamento, Paronuzzi Angelo di Montereale Valcellina, Carniello Enzo di Brugnera, Sebastiani Gianni di Cavasso Nuovo, Tomat Luigi di Lestans (Sequals), Facca Italo di San Quirino, Pellegrin Vanda di Domanins (S. Giorgio della Richinvelda), Masutti Achille di Travesio.
L’atto contava di otto articoli che stabilivano la denominazione dell’associazione (art. 1), la sua finalità (art. 2), gli organi direttivi di cui si componeva (art. 3), i nominativi dei dirigenti provvisori fino all’assemblea successiva (art. 5), lo Statuto e il Regolamento come parte integrante dell’atto costitutivo (art. 4). Le cariche sociali nominate furono: presidente il cav. Cominotto Evaristo; consiglieri dott. Tonello Giovanni, Rosa Alfredo, Poletto Eleonardo, Viel Luigino, Cardin Adelio, cav. Corubolo Mario; Revisori dei Conti rag. Ronzani Lorenzo, dott. Pollastri Mario, Padovan Umberto. Vice presidenti Ros Alfredo e il dott. Tonello Giovanni.
Lo Statuto delle origini era – come tutte le fonti del diritto e la giurisprudenza – più semplice e sintetico rispetto alla normativa attuale. Nel testo furono fissati i capisaldi del sodalizio: “La donazione è anonima, gratuita e volontaria” (art. 2, St.); i soci si distinguevano in “soci donatori, soci collaboratori e soci sostenitori benemeriti”, ma furono solo i soci donatori a avere diritto di voto (art. 6, St.). Una distinzione, questa, che è scomparsa nella revisione effettuata con lo Statuto attuale. Tra le finalità dell’Associazione furono comprese anche “le attività nel campo dell’educazione sanitaria, morale, sociale e culturale” (art. 2, St.). I soci donatori dovevano perciò essere “moralmente degni” (art. 6, St.). Lo Statuto attuale usa l’espressione “dovere umano e civile” e “una condotta conforme alle leggi e all’ordine pubblico”. Inoltre, il donatore doveva essere “degno nella vita privata” (art. 13 Reg.). Gli organi dell’Associazione furono: l’Assemblea, il Consiglio, il Presidente, il Collegio dei Revisori dei conti, il Collegio dei Probiviri (art. 10, St.). Il Consiglio era composto di sette membri, due erano nominati vice presidenti, fra i quali uno veniva scelto preferibilmente fra i membri sanitari dell’Associazione (art. 14, St.). Il Segretario doveva svolgere anche le funzioni di Tesoriere Economo, e poteva essere scelto anche fra i non donatori (art. 17, St.). L’Assemblea e il Consiglio avevano durata quadriennale (artt. 8, 14, St.).
Gli organi della Sezione furono: l’Assemblea dei Soci, il Consiglio Direttivo, il Presidente, il Collegio dei Revisori dei Conti (art. 22, St.). Per il Consiglio di Sezione, lo Statuto prevedeva il quorum di cinque membri fino a 50 soci donatori, e sette membri oltre 50 donatori (art. 23, St.). Per ogni donazione di ciascun socio appartenente, era previsto un contributo economico di £. 1.000, di cui £. 500 spettavano alla Sezione, £. 420 spettavano alla Associazione, £ 80 spettavano al Fondo di Assistenza (art. 9, Reg.). Il contributo economico veniva erogato dagli ospedali. La donazione singola non doveva superare i cc 250, e la donazione periodica di sangue intero per gli uomini doveva essere effettuata con almeno tre mesi di intervallo tra un prelievo e il successivo, mentre per le donne l’intervallo era di quattro mesi (art. 12 Reg.). Lo Statuto delle origini, inoltre, dava preminenza al “dovere morale di rispondere alla chiamata” da parte del donatore (art. 12, Reg.), rispetto allo Statuto attuale che afferma il diritto inviolabile dell’”assoluta scelta volontaria e personale dei Soci”. Inoltre il primo Statuto, proprio in calce, consente lo svolgimento di “attività non strettamente associative da parte dei Sezioni e dei Soci, purché previa autorizzazione del Presidente dell’Associazione” (art. 17, Reg.).
L’avvenimento fu approvato e salutato con immensa gioia da parte delle sezioni consorelle della Destra Tagliamento, e passò quasi “sotto silenzio” nella stampa locale dell’epoca. La spiegazione di ciò è da ricercarsi forse non nella indifferenza generale dei giornali o del pubblico colto, ma nella constatazione che nel 1972, l’elevazione dell’associazione a livello “provinciale” fu una semplice sistemazione giuridica e un’operazione burocratica – de jure – di una realtà già affermata e riconosciuta, perché de facto l’A.F.D.S. era “Provincia” già dal 1965.
Giornata memorabile. 8 luglio 1972, sede Provinciale dei Donatori di Sangue del Circondario Destra Tagliamento, presso l’Ospedale Civile di Spilimbergo. In questo giorno si costituì l’A.F.D.S. Provincia di Pordenone. Nella foto si possono riconoscere: al centro il presidente Evaristo Cominotto e il Notaio dott. Cesare Marzona; a destra Vally Pellegrin e il segretario Gianni Colomberotto (il primo da destra).
La nascita della Porchetta
Il 1973 è stato l’anno delle due “Feste del Donatore”.
La prima è stata la tradizionale Giornata del Donatore, che si è svolta ogni anno, come da copione, era stata fissata per il 6 maggio. La manifestazione si è tenuta nei luoghi principali del paese e ha mantenuto i suoi caratteri tipici che l’hanno resa sempre speciale e apprezzata. Il corteo dei labari delle sezioni consorelle è partito dalla sede sociale in Piazza Indipendenza fino alla chiesa, accompagnato dai compaesani e dai simpatizzanti. Nella parrocchiale è stata officiata la S. Messa, durante la quale, in onore ai festeggiamenti della Sezione, sono state offerte, simbolicamente, due ampolle di sangue. Dopodiché, al termine della cerimonia è stata deposta una corona d’alloro al Monumento ai Caduti per ricordare i donatori defunti. La Giornata del 6 maggio ’73 è tuttora ricordata, dai presenti dell’epoca, come una delle più belle e meglio riuscite. Il viale che tra Piazza Indipendenza e Piazza S. Michele – dove è situata la chiesa – era adorno di striscioni, bandiere, decorazioni e abbellimenti fatti a mano. I cartelli appesi richiamavano doveri della solidarietà e principi umani. Slogan incisivi ed efficaci come: “Ricordiamo di essere fratelli”; “Italiani tutti! Mescolate il vostro sangue con quello degli altri popoli, così non avremo più guerre ma pace e fratellanza”; “Non è regalo più bello, più nobile, più grande che poter donare un po’ del proprio sangue”; “Il dono del sangue è opera umanitaria”. Erano parole molto forti e coinvolgenti, espressioni della cultura e dei contenuti morali dell’epoca, i quali, non costituivano solo concetti o testimonianze, ma solide speranze.
La manifestazione è continuata con i discorsi delle autorità. Hanno preso la parola l’assessore regionale comm. Giust, il sindaco del Comune cav. Ronzani, il presidente dell’Ente Friuli nel mondo prof. Ottavio Valerio e il presidente A.F.D.S. cav. Cominotto – che come di consueto sbalordì il pubblico con la sua retorica roboante ed efficace. Al convegno venne premiato, per l’ennesima volta, il presidente Sante Lenarduzzi.
La giornata ha regalato alla popolazione di Domanins la lieta visita di don Gallo Moschetta ex-parroco di Domanins. Il pievano, “combattente pluridecorato”, aveva già dato l’addio al paese e alla tonaca il 24 settembre 1972, dopo aver terminato il servizio nel giugno del medesimo anno. La comunità di Domanins, che all’epoca era guidata spiritualmente da don Sante Neri, accoglieva con estrema gioia e commozione il ritorno di quel parroco che per quarant’anni ne era stato il padre umano e spirituale.
La Festa del 6 maggio era stata preparata nei suoi punti essenziali e nei suoi momenti fissi: i prelievi del sangue alle ore 08:00; l’arrivo delle autorità e dei donatori alle 09:30; la Santa Messa alle ore 10:30; i discorsi ufficiali alle 11:00; il pranzo finale alla Trattoria Nana alle 13:00.
La giornata del 6 maggio, nel pieno della primavera, è conservata ancora nella memoria per l’estrema cura di ogni particolare, con cui è stata organizzata, segno del carattere inconfondibile che ha da sempre contraddistinto i Donatori di Sangue.
L’entusiasmo dei donatori, del paese, delle nuove e giovani furlane dimostrarono come Domanins aspettasse la Giornata del Donatore come “il dì di festa” per eccellenza.
L’invito alla Giornata del Donatore veniva recapitato casa per casa. Veniva recapitato l’invito alla donazione mattutina, per tutti i donatori idonei e disponibili.
Il corteo partì dalla sede per poi proseguire verso la chiesa
La Banda di Vivaro, diretta dal maestro Antonio Marti, accompagnò il corteo suonando antiche e commoventi canzoni.
Le fotografie furono sviluppate con dimensioni 17,5 x 12,5, molto usate all’epoca, rendendo le immagini molto belle e suggestive.
L’offertorio della S. Messa officiata da don Sante Neri, successore di don Gallo Moschetta.
Le Furlane: Alba, Fausta, Serenella e Fides.
La corona d’alloro viene portata al Monumento dedicato ai Caduti.
Le autorità per i discorsi ufficiali.
Sante Lenarduzzi con una donatrice.
Una seconda iniziativa nacque in seno al gruppo A.F.D.S. accanto alla Festa e alla gita tradizionale: l’organizzazione di una scampagnata estiva.
Nel mese di giugno, infatti, il Direttivo decise di realizzare un proprio “piccolo convegno” in mezzo ai campi, caratterizzato da pranzo e giochi all’aperto. La meta prescelta era il greto del Meduna, il torrente che lambiva i confini tra Domanins e Zoppola. L’idea fu di Angelo Lenarduzzi (Anzulut di Nart), uno dei fondatori della Sezione.
La scampagnata si svolse il 24 giugno e fu caratterizzata da un pranzo a base di porchetta, braciole e coste di maiale ai ferri. Il Direttivo dell’A.F.D.S. era composto da Sante Lenarduzzi, dal geom. Luigi Luchini, dalla segretaria Vally Pellegrin, ed era accompagnato dal gruppo dei donatori. Il divertimento proseguiva per tutta la giornata con canti, giochi ed altre iniziative ed esibizioni ludiche e culturali.
Nacque così la prima “Porchetta” anche se, per il momento, non fu così battezzata. La festa si ripeté ogni anno, nei mesi di giugno, luglio o agosto. Negli anni successivi la data fu fissata nell’ultima domenica di luglio.
La singolarità dell’iniziativa piacque il mondo dei Donatori di Sangue e i loro simpatizzanti. La prima Porchetta degli anni Settanta comparve nei brevi articoli di cronaca dei quotidiani locali. La simpatica e curiosa trovata dei Donatori di Domanins diventò, col passare del tempo, una grande festa popolare, seguitissima a tal punto che nelle prime edizioni (e per oltre un decennio) vi avrebbe partecipato oltre la metà della popolazione. “Bisogna ritornare alle tradizioni, restituendo il paese alle sue iniziative ed abitudini”. Quest’espressione fu recitata, in una congiuntura particolare quella del terremoto del ’76, a testimonianza del sano recupero delle proprie radici e del valore di una giornata che diventò una festa popolare e sagra di paese. La Porchetta fu ideata e realizzata per dare corpo a valori e principi della solidarietà e dell’unità e i suoi principi e i valori solidali trovarono il loro luogo naturale e fecondo in una comunità restituita alle sue origini. In un luogo dove si celebrava l’unità e il legame con la terra, attraverso la consumazione di una pratica e di un costume antico, come lo era il pranzo in mezzo ai boschi o nei campi. “La colazione del cacciatore” così è tuttora denominato il pranzo a base di maiale, tipico dell’Italia centrale. Il pranzo del maiale specialmente, consumato in luoghi agresti o campestri è un lontano residuo di un rito arcaico in uso presso popolazioni di epoca antica.
La Porchetta estiva diventerà una data importante tale da sostituire le altre date storiche del 21 gennaio e del 4 ottobre, ormai addirittura dimenticate dai più giovani.
Il luogo naturale scelto fu, per prima, la zona detta delle Ciampagnatis sul greto del Meduna vicino al confine tra Domanins e i territori della frazione Murlis, poi, negli anni successivi, si preferì la zona adiacente al Meduna, ossia a Frabosc “il Boschit dal Nini”, presso l’ex vigna del Barone De Paoli.
Una rara e bella immagine a colori della Porchetta 1974.
Porchetta a Frabosc si mantenne fino al 1979. Con gli anni Ottanta, invece, si spostò nel boschetto del campo sportivo per essere più vicina al paese e ai giovani. Col 1980, infatti, la Porchetta spostandosi dai prati nella periferia di Domanins al centro del paese nel boschetto accanto al campo da calcio si avvicinò ai giovani della neonata Associazione Calcio Domanins (A.C.D.). Il campo sportivo diventò progressivamente uno dei centri della vita sociale del paese e l’A.F.D.S. ne approfittò per festeggiare la sua giornata. In quegli anni parecchi furono i giovani dai 18 ai 20 anni di età che scelsero di diventare donatori di sangue.
Le giornate di festa della Porchetta scorrevano via piene e veloci, con il pranzo, il canto, i balli con allegria “sostenuta”, dove “anche i musetti correvano via per terra” così spensieratamente fino a tarda notte. La preparazione e la cottura avvenivano sempre di notte, pratica mantenutasi per molti anni. Particolare e complessa, la procedura comprendeva la pulitura e la depilazione dell’animale fino al disossarsi, e al condimento, con il sale, il pepe ed erbe aromatiche. La nostra Porchetta per almeno trent’anni ha avuto i suoi grandi maestri. Quattro furono i cuochi specialisti: Giuseppe Sartor – conosciuto come Bepi Murlis – i fratelli Giuseppe e Attilio Aviani di Spilimbergo, e Arvedo Cominotto di Tauriano. I quattro maestri furono presenti fin dalle origini, assieme ai nostri Sante e Vally e agli altri volontari dell’A.F.D.S.
Gazzettino del 24 giugno 1973: la prima storica “Porchetta” a Domanins.
Il Popolo del luglio 1976: la prima Porchetta dopo il terremoto.
1975. Porchetta nel boschetto. Discorsi delle autorità e momenti conviviali.
L’addio di don Gallo
Il 24 settembre 1972 fu l’ultima domenica di don Gallo Moschetta a Domanins. “Povero sono venuto qui e povero voglio andarmene; non ho diritto ad alcun compenso; il premio lo aspetto dal Signore, che ho cercato di servire in fedeltà”. Furono queste le parole di commiato con cui il grande parroco concluse una quarantennale esperienza, religiosa e umana, nel paese di Domanins dove il destino – la volontà del Signore – volle condurlo. Fu il giovedì successivo, il 28 settembre, l’ultimo giorno a Domanins e partenza per la Casa di Riposo di Spilimbergo, ove svolse le funzioni di cappellano fino alla sua morte avvenuta il 24 marzo 1974.
Don Gallo fu parroco di Domanins dal 1° maggio 1932 fino al mese di giugno del 1972. Già dall’ottobre del 1971 era diventato economo spirituale e il 1° agosto 1972 fu definitivamente sostituito da don Sante Neri.
La vita e la persona di Gallo Moschetta hanno lasciato un ricordo indelebile a Domanins e sicuramente anche alla Diocesi e a tutti coloro che lo hanno conosciuto. ” […] sono stato un sacerdote comune, come tutti gli altri. Ho fatto qualche cosa. Altri confratelli hanno immortalato il loro nome con opere ben più grandi.”
Per quarant’anni don Gallo fu una figura monumentale di onestà, rettitudine, disciplina, semplicità e di vita spirituale. Le sue virtù furono da lui pienamente realizzate e testimoniate in modo quotidiano nella comunità di Domanins. Per queste ragioni, don Gallo merita di essere menzionato nella presente e in qualunque opera tratti del nostro paese. In modo particolare, bisogna porre in evidenza il rapporto che ebbe con i Donatori di Sangue. “Troppi elogi” gli furono conferiti dal Vescovo, nel giudizio da lui stesso formulato a riguardo del suo quarantennale esercizio sacerdotale. La sua umiltà cristiana unita ad una grandezza umana e spirituale indiscutibilmente rare, lo resero stimato e apprezzato da tutta la popolazione, soprattutto da parte dei giovani. E proprio un giovane e adolescente di allora ha voluto ricostruire e raccontare a Domanins la vita del suo pievano don Gallo Moschetta: Vannes Chiandotto nel suo libro Gallo Moschetta alle trincee al sacerdozio a ricordo di questo uomo straordinario.
Don Gallo ebbe una profonda stima dell’Associazione dei Donatori di Sangue, e salutò con gioia l’autonomia del 1968. Il pievano devolvette un’offerta all’associazione, nel giorno dell’inaugurazione della sede, e le donò una foto con dedica personale poco prima del suo addio: “Cav. don Moschetta Baldassarre Gallo Arciprete. Alla prediletta associazione dei Combattenti e dei Donatori di Sangue”. Nella pubblicazione realizzata dal Chiandotto, si legge che don Gallo fu molto amato e ammirato dalla gioventù del tempo, nonostante ogni sua chiusura nei confronti della modernità, e nonostante ogni rifiuto verso ogni forma di apertura liturgica, pastorale, e in genere, sociale e di costume. Presumibilmente, come l’autore del libro ipotizza, il motivo dell’ammirazione dei giovani fu nella ferrea coerenza nella predicazione dei principi cristiani e applicazione nella vita di tutti i giorni, nelle piccole come nelle grandi cose. I giovani e gli adulti rispettarono le sue origini umili e l’infanzia povera.
L’esperienza della Grande Guerra, condotta nelle trincee, lo vide pluridecorato. La sua straordinaria forza morale e il coraggio con cui fece da mediatore nella “guerra dei confini” tra i parrocchiani di Domanins e gli abitanti di Rauscedo, ma soprattutto fu ricordato nella, più grave, guerra civile e militare tra partigiani e tedeschi, quando salvò Domanins e i combattenti degli opposti fronti, da una sicura carneficina, da distruzioni e violenze di ogni genere.
Don Gallo fu anche un realizzatore di opere importanti e durature nel tempo: la scuola materna; lo spazio dedicato ai giovani; l’impulso a tutte le associazioni come l’Azione Cattolica, la Sezione Combattenti e Reduci, e l’Associazione dei Donatori di Sangue.
Furono i piccoli atti della vita quotidiana che ne esaltarono la figura. Chi visse con don Gallo può ricordare i suoi modi bruschi e autoritari, quando “mollava gli schiaffoni” ai chierichetti o redarguiva i fedeli non troppo attenti alla messa. Parecchie persone conservano ancora nella memoria il suo stile di vita semplice, frugale e immensamente generoso e caritatevole.
Tutti ricordano le sue gabbane rotte; i poveri che lui invitava alla propria mensa. Inoltre – citando un fatto curioso e simpatico – raccontato da un ragazzino di allora – una sera di maggio don Gallo gli “…portò via appositamente la bicicletta perché non andasse in giro con la fidanzatina saltando il Santo Rosario, ad insaputa dei suoi genitori!”.
Una delle ultime celebrazioni liturgiche di don Gallo a Domanins
Figura severa e paternalistica, don Gallo incarnava un modello antico di auctoritas. Non disubbidiva mai, rispettosissimo delle istituzioni ecclesiastiche e civili, e di chi le rappresentava. Era fermo oppositore di ogni riforma e di ogni “nuovismo” nella vita pastorale della Chiesa, e nella vita sociale e profana. Don Gallo, se non ostile e avverso, fu sicuramente “sordo” al Concilio Vaticano II e alle sue istanze innovatrici. Quindi nulla concedeva alle mode giovanili proprio nell’epoca in cui la vasta cultura sociale si stava riversando sulla china scivolosa della modernità, che toccò di striscio anche la piccola realtà di Domanins. Eppure – come sostiene il Chiandotto e gli altri testimoni dell’epoca – il rapporto del “pievano di ferro” con i giovani fu sempre ottimo. La spiegazione è da ricercarsi – come detto sopra – nella coerenza del comportamento personale nell’applicazione dei principi che predicava. Evidentemente, i giovani nella loro naturale e spontanea sincerità, videro in lui realizzarsi un ideale umano, che agli adulti sfuggiva o non riusciva a compiersi.
Don Gallo fu ossequioso nei confronti della tradizione cattolico-romana e di ogni autorità costituita. Questo atteggiamento tradizionalista o “reazionario” (per usare il linguaggio dell’epoca) non gli impedì qualche piccolo “strappo”. Se indaghiamo nella sua biografia, notiamo che il Moschetta fu chiamato alle armi nella Grande Guerra quand’ancora era seminarista. Partecipò all’intervento con entusiasmo, contrariamente alla posizione della Santa Sede che, per principio religioso e umano, propendeva per la neutralità e la pace, e per motivi politici, non voleva muovere guerra contro la cattolicissima Austria-Ungheria degli Asburgo. Il suo entusiasmo fu, forse, una forma di giovanilismo che lo portava a vedere Dio anche con le ragioni della Patria e del suo popolo. Un altro fatto, degno di nota, fu la lettura in lingua italiana di un brano del Vangelo, fatto leggere ad un fedele, contro le indicazioni di quegli anni. Un altro fatto significativo, il più interessante perché rivolto all’A.F.D.S., fu quando volle porre sull’altare maggiore il simbolo del Pellicano. Un atto certamente “poco ortodosso”, originale ed estroverso, ma che contribuì a rappresentare meglio la persona.
Il Pellicano, simbolo dell’A.F.D.S., fu posto da don Gallo sull’altare maggiore, nel 1969
Don Gallo vide Dio e l’Umanità di Dio anche nei Donatori di Sangue, perciò scelse, sua volontà, di porre il Pellicano sul Tabernacolo ove risiede la presenza reale – non simbolica – della divinità. L’operare dei donatori è l’operare di Dio, e lui, a Dio, “diede in mano” il Pellicano. E’ il simbolismo più alto della storia della nostra associazione A.F.D.S.
Il saluto a Domanins di don Gallo, 24 settembre 1972
Questo fu don Gallo. Il 28 settembre 1972 ci diede l’addio. Morì il 24 marzo 1974 nella Casa di riposo di Spilimbergo ove svolgeva la funzione di cappellano. Una delle sue ultime opere fu la tomba in cimitero dei sacerdoti di Domanins, dove tuttora riposa e dove Domanins, con immenso affetto, ancora lo ricorda.
Gesti di solidarietà
I Donatori di sangue si sono sempre distinti per la generosità nei confronti di chi si è trovato nelle situazioni di bisogno, sia a chi era vicino sia a chi viveva lontano. La generosità dei Donatori era una disposizione d’animo che talvolta li esulava dai propri compiti sociali, i quali prevedevano i soli obiettivi riguardanti la donazione del sangue e la salute del corpo. Per chi invece ha conosciuto l’essenza e la storia del volontariato, ha potuto constatare che non ci sono mai stati confini o differenze tra la solidarietà di ogni tipo.
Un’associazione di paese, per sua stessa definizione, prova amore verso la cultura dei propri luoghi, verso i propri avi e la propria storia. L’A.F.D.S. Domanins si è adoperata per la tutela del proprio loco, promuovendo e curando opere aventi questa precisa finalità. Ha curato pubblicazioni a carattere storico come “Echi e ricordi di Domanins” realizzato da Luigi Luchini ed edito nel luglio del 1975 che ripercorre i fatti salienti della storia del paese: il ciclone del 1919, la Caporetto del 1917, il ricordo di don Gallo e naturalmente i cenni sulla nascita della Sezione A.F.D.S.. Il libro fu donato ai compaesani, ai donatori, agli amici simpatizzanti, alle autorità locali, e pure, agli emigranti di Domanins – una copia per ciascuna famiglia!
Ma, a Domanins i donatori di sangue sono stati capaci anche di realizzazioni più grandi, di autentici gesti di solidarietà. Generosità è quando ci si priva di qualcosa per darlo agli altri. Per fortuna, non fu solo Domanins ad essere stata campione di generosità, ma anche i Donatori di Sangue del Friuli e d’Italia. Eravamo nella primavera del 1976. Nel mese di aprile, il giorno 9, l’Assemblea di Sezione fu convocata per il rinnovo delle cariche sociali e degli organi esecutivi. Era il suo terzo mandato, il quadriennio 1976-1980. Non ci furono sostanzialmente grossi ricambi. Presidente Sante Lenarduzzi, vice presidente Ferruccio Pancino, Rappresentante dei Donatori e segretaria Vally Pellegrin. Riconfermati i consiglieri, Bruno Santin, Costante Basso, Vittorio Drigo, Vinicio De Candido, e fra i revisori dei conti: Giovanni Leon. Entrarono per la prima volta Gaetano Lenarduzzi, Vinicio De Candido, Ferruccio Pancino fra i consiglieri, Benito Lenarduzzi e la giovanissima Eleonora Rossi fra i revisori. Queste elezioni furono certamente l’appuntamento più brutto e triste della storia dell’associazione, che tutti cercarono sicuramente di rimuovere dalla memoria. Nemmeno un mese dopo, i Friulani e l’intera penisola furono scossi da una fra le più disastrose e violente catastrofi scatenatesi negli ultimi decenni. Il terremoto del 6 maggio sconvolse diverse zone e paesi del Friuli. Le nostre zone subirono danni enormemente minori rispetto ai comuni udinesi. Chi fu presente allora ricorda ancora oggi, le cappe dei camini che crollarono ai primi e forti movimenti sismici, pericolosissime per chi in quegli attimi usciva di corsa dalla porta di casa! Molti furono gli incidenti in macchina, e altrettanti i feriti e i contusi nelle frenetiche calche che si formarono ad ogni piccolo moto della terra. Resta ancora vivo ai bambini di allora, il ricordo del panico e della paura che essi avevano a scuola. I danneggiamenti che subirono le case, si possono osservare ancora adesso, nelle varie crepe nei muri, come segni visibili del tempo. Il dramma del terremoto spinse i Donatori di Sangue di Domanins ad intraprendere e continuare la propria azione benefica rivolta alla solidarietà, aiutando le popolazioni duramente colpite, col proprio contributo personale. Con le pronte donazioni di sangue, e anche con i rifornimenti in materiali e in denaro. In questa tragedia occupa un posto la storia particolare dell’amicizia tra l’A.F.D.S. Domanins e l’A.V.I.S. di Turbigo, una cittadina lombarda in provincia di Milano. In quegli anni s’instaurò un gemellaggio tra i due sodalizi il quale nacque spontaneamente dalla tragedia dei terremotati, allo scopo di impegnare tutti gli sforzi possibili per dare un minimo contributo per ricostruzione, morale e materiale della popolazione colpita. Un’offerta di aiuto giunse dai Donatori di Sangue di Turbigo, e da un’associazione che opera con le medesime finalità anche se distante dalle nostre terre. Encomiabili nella solidarietà e mossi dalla commozione verso il Friuli, gli amici di Turbigo non esitarono a darci una mano, dando un piccolo aiuto per una famiglia in sofferenza.
Le zone montane della Provincia di Pordenone, essendo più vicine all’epicentro, subirono danni leggermente maggiori rispetto alla pianura. Nel Comune di Clauzetto, e precisamente nella piccola frazione di Celante, una famiglia subì diversi danni materiali alla propria abitazione. L’A.V.I.S. Turbigo devolvette all’A.F.D.S. Domanins, la somma di £. 200.000. In quel terribile anno il nostro sodalizio contribuì con la somma di £ 126.497 per l’acquisto di un mobile da cucina e di una stufa a legna per le famiglie disastrate. La somma restante fu impiegata per aiutare altre persone.
Lettera di ringraziamento della Famiglia Zannier di Clauzetto per il contributo dato dagli amici dell’A.V.I.S. di Turbigo. “Celante, 30-04-1977 All’Associazione Donatori di Sangue Domanins. Vi giunga il nostro più vivo ringraziamento per averci aiutati a rimettere su casa. E’ stato un gesto veramente generoso da parte vostra e incoraggiante per noi, che non dimenticheremo. Cordiali saluti e grazie ancora Antonio Zannier e famiglia”.
Rappresentanza dell’A.F.D.S. Domanins a Turbigo con ringraziamenti e scambi di doni, per l’aiuto prestato alle famiglie terremotate. 25 settembre 1977.
Il terremoto in Friuli
Il terremoto del ’76 è stata la più grande tragedia della storia friulana degli ultimi secoli. Il terremoto colpì giovedì 6 maggio alle ore 21:06 con epicentro il monte San Simeone tra i comuni di Bordano e Trasaghis, nelle vicinanze di Osoppo e Gemona del Friuli. La scossa di maggio fu intensissima: 6,4 gradi della Scala Richter e decimo grado della Scala Mercalli. La violenta scossa si sentì nell’intero Nord Italia e nell’attuale Slovenia (allora Jugoslavia), coinvolse 77 comuni italiani ed 80.000 abitanti circa. In Italia provocò 989 morti e oltre 45.000 senzatetto.
Nel mese di settembre si verificarono altre due violente scosse. Sabato 11 settembre la terra tremò due volte: alle 18:31 ed alle 18:40 superando le punte di 7,5 e 8 gradi della Scala Mercalli e 6,1 della Scala Richter. Mercoledì 15 settembre, la quarta e quinta scossa, alle ore 05:00 e alle ore 11:30 di oltre dieci gradi della Scala Mercalli.
Le immagini del terremoto
Con le ultime scosse del 15 settembre crollò definitivamente tutto ciò che ancora era rimasto in piedi dopo il 6 maggio. Furono interamente rasi al suolo i comuni di Gemona del Friuli, Osoppo, Bordano, Trasaghis, Buja e Venzone. Tutti gli sfollati ed i senzatetto furono ospitati negli alberghi di Lignano Sabbiadoro, Grado e Jesolo.
Il 15 settembre il Governo italiano nominò l’On. Giuseppe Zamberletti commissario straordinario per il coordinamento dei soccorsi. In collaborazione con le Amministrazioni locali, i fondi destinati alla ricostruzione furono gestiti direttamente dall’On. Zamberletti assieme alla Regione Friuli-Venezia Giulia. Da settembre a dicembre del 1976 i senzatetto sono stati ospitati in appositi prefabbricati per l’inverno. Grazie ai poteri straordinari concessi dal governo, grazie alla grande efficienza e serietà con le quali furono gestite le risorse, e grazie alla mirabile forza e volontà del popolo friulano, in dieci anni l’opera di ricostruzione fu completata.
“Qui si vede che c’è stato il terremoto”. E’ scritto, ironicamente, sul retro di questa foto, leggermente sfocata, che ritrae il battesimo di un bimbo, tenutosi nelle sale del Cinema Don Bosco a Rauscedo il giorno 11 settembre. La scossa si verificò alle ore 18:31 provocando il panico fra i partecipanti alla cerimonia.
Il pensiero agli emigranti
Il dono del sangue è donare la vita. Il dono del sangue nel suo aspetto materiale serve a garantire la salute, la sopravvivenza e la sicurezza di noi stessi e degli individui con i quali conviviamo. Per questo scopo, l’Associazione dei Donatori di Sangue ha sempre promosso una donazione “adulta e responsabile”, ossia una cultura del dono del sangue che sia, non solo un istintivo atto di generosità umana, ma anche una pratica continua e periodica tale da infondere nel gesto e nella cultura del donatore volontario una coscienza civile e un’etica.
Il dono del sangue possiede anche un aspetto immateriale. Donare è donare la vita, e la vita significa tutto. L’attività dell’A.F.D.S. si estende ad ampio raggio sotto il segno del volontariato. La Sezione Donatori di Sangue di Domanins si è resa disponibile da protagonista a devolvere contributi e aiuti ai più bisognosi (come per le vittime del terremoto del ‘76), a realizzare e curare le opere pubbliche del territorio, a organizzare momenti conviviali fra la popolazione per celebrare un anniversario o semplicemente per stare assieme.
Tutto fa parte della vita e del donare sé stessi agli altri, e la vita nasce e si sviluppa soprattutto nella comunità di origine e il legame con le radici si estende anche ai propri fratelli che sono lontani, a coloro, cioè, che hanno intrapreso la via del mondo. Una strada – la via dell’emigrazione – che è stata percorsa con “lacrime e sangue” dove maggiormente l’umanità ha fatto esperienza della necessità del dono e della solidarietà gli uni con gli altri.
“Festa dell’Emigrante” a Domanins, 31 agosto 1977. Il Gazzettino.
“L’oceano non divide i friulani…”. Furono queste le parole di Giovanni Faleschini, il primo presidente dell’A.F.D.S. Udine. La lontananza dell’emigrante è la nostalgia del ritorno e della vicinanza con la propria terra. Non si cerca unità e solidarietà solo per donare il prezioso sangue per la nostra salute, ma si dona sangue per ritrovare il senso del vivere assieme. E’ un pensiero sul quale l’A.F.D.S., l’associazione friulana, ha orientato la sua attività. Il significato più profondo della donazione è questo. E l’emigrazione è un’esperienza che ha colpito profondamente il popolo del Friuli e ne ha segnato la propria storia e il proprio destino.
Il legame e la nostalgia del ritorno alla propria terra madre animò tutti i Friulani, a casa e all’estero. Molti Friulani soffrirono per la divisione della “Provincia del Friuli” tra Udine e Pordenone. A questo legame e a queste divisioni e lontananze con gli avi e con i propri fratelli i Donatori di Sangue del Friuli non poterono essere indifferenti.
L’A.F.D.S. si muove sin dai suoi inizi per unire i propri valori donativi all’orgoglio friulano e all’amicizia e gemellaggio con gli emigranti. Così si strinsero sempre più le maglie dei rapporti tra i Donatori di Sangue e l’Ente Friuli nel Mondo, l’E.F.A.S.C.E. e qualsiasi associazione, movimento o fogolars che avevano come obiettivo la vita dell’emigrante friulano e la sua memoria nella terra natia.
In Provincia di Pordenone, l’A.F.D.S. cominciò a muoversi a tale scopo fin dai suoi esordi. Nella cittadina di Kriens in Svizzera fu addirittura creato un gruppo di donatori di sangue fra gli emigrati friulani. Il labaro del neonato Gruppo fu inaugurato, in un festoso convegno organizzato per l’occasione, dal cavalier Evaristo Cominotto di Spilimbergo, presidente dell’allora A.F.D.S. Circondariale di Pordenone, cui spettò l’onore di avere la tessera donatori n.1.
Iniziative simili furono molte altre nella storia dei Donatori, tra A.F.D.S. Udine, l’A.V.I.S. e altre associazioni di volontariato. Se rimaniamo nella nostra realtà locale, Domanins ospitò, alla fine degli anni Settanta la ricorrenza della “Festa dell’Emigrante” che si teneva nel periodo estivo. In paese ci fu una festosa accoglienza con scambi di doni, ricordi e visite alle famiglie e contributi in denaro tra il benemerito sodalizio e gli emigranti.
La lettera di Giovanni Faleschini, presidente A.F.D.S. Udine, a Sante Lenarduzzi presidente A.F.D.S. Domanins. Il documento è un autentico milieu della storia dei donatori di sangue del Friuli, del loro attaccamento alla propria terra di origine, alla propria cultura e alla propria gente.
Natale 1977. “Caro Signor Lenarduzzi. A nome del Fogolar Furlan di Ottawa i più vivi ringraziamenti a Lei e il gruppo dei donatori di sangue di Domanins per il gentile gesto nell’offrire la medaglia per le mani del nostro amico Gino Basso, la quale ci è stata data durante una delle nostre feste. Augurandovi ogni bene e Felici Feste. Saluti da noi tutti”.
Negli anni Sessanta, al tempo della nascita della sezione svizzera della F.I.D.A.S., la vitalità del sodalizio friulano si estese presto anche presso gli emigranti friulani.
Nella Svizzera tedesca, per iniziativa di un gruppo di volontari friulani, nacquero associazioni e circoli finalizzati alla promozione del dono del sangue. Tra questi furono i gruppi di Kriens e Sursee nel Canton Lucerna.
Il cavalier Evaristo Cominotto di Spilimbergo, presidente dell’A.F.D.S. pordenonese, omaggiò i neonati sodalizi donando loro i labari della F.I.D.A.S.
E’ opportuno qui ricordare che, proprio in quegli anni, in Svizzera si svolse un referendum popolare per l’accettazione della manodopera straniera il cui esito premiò i lavoratori friulani e italiani apprezzati in tutto il mondo per il sacrificio profuso nel lavoro e per le loro abilità professionali.
Nel 1965, Graziano Canton di Domanins, con i genitori e la sorella, emigrò in Svizzera e si stabilì a Sursee. Graziano diventò ben presto un donatore di sangue, associandosi al Gruppo Italiani Donatori di Sangue di Sursee costituitosi nel 1966.
Graziano Canton (il primo a destra) con la moglie Maria
Con il passare degli anni, il giovane emigrante di Domanins s’inserì con sempre maggior entusiasmo nel volontariato dei donatori e nel 1973, a ventisei anni, divenne presidente della sezione. Il Gruppo italiano donatori di sangue di Sursee affiliato alla Federazione Italiana F.I.D.A.S. portò affisso sul proprio stendardo la Goccia con il Pellicano, simbolo unico ed esclusivo dell’A.F.D.S., l’associazione dei donatori friulani.
All’inizio, il gruppo fu composto esclusivamente da italiani e friulani, per poi aprire le adesioni anche agli svizzeri negli anni successivi. Con il passare degli anni, la sezione incrementò nel numero dei soci fino a raggiungerne ottanta.
Alcune regole erano un po’ diverse da quelle delle consorelle friulane, quali i criteri di premiazione dei donatori benemeriti ma, le attività quotidiane dei donatori svizzeri erano simili a quelle dei volontari friulani di allora e di oggi.
Festa del decennale di fonazione del Gruppo donatori Sursee. Il primo seduto a destra è il Sergio Rosa presidente nazionale F.I.D.A.S.
Il presidente Canton si adoperava per programmare le donazioni della sua sezione. Si incaricava personalmente nel chiamare i soci alla donazione, prenotando il posto presso i centri trasfusionali della zona, in base alle loro esigenze di lavoro e in relazione ai loro gruppi sanguigni.
Graziano lavorava alla Lanz+Matti e durante il suo orario era solito chiamare i donatori per le prenotazioni, tanto da sensibilizzare il suo datore ricevendo un lauto contributo in denaro per le attività del suo gruppo.
Il gruppo si autofinanziava facendo del volontariato. In occasione delle feste cittadine, i donatori partecipavano con una propria bancarella. Inoltre, in diversi momenti dell’anno essi visitavano i negozi e le attività commerciali della città per raccogliere offerte. Al posto del denaro, essi ricevevano beni e oggetti vari coi quali il sodalizio organizzava pesche di beneficenza.
Graziano ricoprì la carica di presidente del Gruppo Donatori di Sursee fino al 1987. Dopo tale periodo si trasferì nel Canton Ticino, nella Svizzera italiana, dovendo purtroppo abbandonare l’attività della sezione.
Nel 1996 Graziano Canton fece ritorno in Italia. Con la moglie e due figli si stabilì a Domanins. Nel paese natale, Graziano si associò fin da subito alla Sezione A.F.D.S. continuando l’attività di donatore di sangue e di collaboratore.
Quel labaro che lui portò per tanti anni è stato conservato per anni presso il centro trasfusionale di Udine, sede storica dell’A.F.D.S. Nel 2023 è stato portato a Domanins e conservato nella sede della sezione A.F.D.S. ed esposto per la prima volta in occasione del 55° anniversario di fondazione, ricorrenza festeggiata il 30 luglio 2023.
La realtà dell’emigrazione del Friuli e di Domanins
La storia dell’emigrazione italiana e del Friuli si suddivide in tre grandi periodi: il primo va dal 1878 al 1914, ossia dai primi governi dell’unità d’Italia – governo Depretis – allo scoppio della prima guerra mondiale; il secondo periodo va dal 1919 al 1940, dalla spaventosa crisi esplosa alla fine della Grande Guerra fino all’entrata dell’Italia nel secondo conflitto mondiale; il terzo dal 1946 al 1975, dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni in cui maturò la crescita economica ed industriale italiana e si diffuse in tutta la penisola. Questa è l’epoca della grande migrazione “permanente”, cioè dei viaggi di andata senza ritorno. Si ebbe anche nel passato una grande emigrazione a carattere stagionale che cominciò nel 1866 – anno nel quale il Friuli entrò a far parte del Regno d’Italia di Vittorio Emanuele II. Questa prima ondata assunse proporzioni molto vaste, e costrinse moltissimi padri di famiglia e uomini di maggiore età a partire in cerca di lavoro nei paesi del neonato Impero Austroungarico (1867), in Baviera, in Germania, Romania, Grecia ed anche in Russia. I lavoratori italiani abbandonarono casa e famiglia, con viaggi lunghi e sovente pericolosi, percorsi per la stragrande maggioranza a piedi, verso territori lontani e sconosciuti. Con questa migrazione stagionale riuscirono a portare a casa discreti guadagni per mantenere la propria famiglia e per acquistare case, bestiame e anche terreni. La seconda migrazione, quella senza ritorno, interessò i Paesi d’oltreoceano: Stati Uniti d’America, Brasile, Argentina. A partire dal 1880 il numero degli emigranti friulani subì un rapido incremento, analogamente a quanto accadde a livello nazionale. Fu questo il periodo di massima intensità del fenomeno. Dai 19.951 passaporti del 1881 si passò ai 39.359 del 1890. Nel 1899 si giunse a 56.241 passaporti. Negli anni 1881-1915 gli espatri dal Friuli raggiunsero e mantennero livelli tali da rappresentare il 10% dell’emigrazione nazionale: fu questo il periodo della grande emigrazione friulana. Per quanto riguarda Domanins la primissima fase che va dal 1878 al 1885 riguardò soprattutto Brasile ed Argentina, e nelle numerose opere del compaesano Luigi Luchini, si legge che fu una delle “più drammatiche e dolorose della nostra gente”. Fu una vicenda umana dura e luttuosa che provocò “lacrime e sangue” e “sofferenze incredibili”. Il Comune di San Giorgio della Richinvelda contava allora 3.680 abitanti e partirono per Brasile ed Argentina 420 persone, tra uomini, donne, vecchi e bambini. Domanins contava, allora, solo 620 abitanti. Le famiglie che lasciarono il paese furono: Bisutti Luigi e famiglia in Brasile;Bisutti Onorio e famiglia nella Repubblica del Salvador, 1880; Venier Ferdinando e famiglia a Santa Caterina;Venier Giobatta fratello di Ferdinando in Brasile, 1889; Colautti Luigi e fratelli in Argentina;Lenarduzzi Venceslao e fratelli Paolo e Pio e sorelle a Santa Fe’, 1889; De Candido Celeste e famiglia a Santa Fe’, 1889; Venier Amadio e famiglia a Santa Fe’;Venier Giovanni di Pauli e famiglia in Argentina, 1889; Lenarduzzi Celeste e famiglia a Santa Fe’, 1906; Lenarduzzi Celeste e fratelli, figli di Batta e Rosa in Argentina, 1880; Lenarduzzi Paolo e famiglia a Santa Fe’, 1893; I figli di Pellegrin Luigi in Argentina, anni Ottanta dell’Ottocento;Famiglia De Paoli in Argentina; Famiglia Del Pin in Argentina;Canziano Giovanni in Ungheria, 1870; Fornasier Giuseppe in Ungheria, 1870; Lenarduzzi Girolamo in Germania; Lenarduzzi Santo di Crai in Ungheria , 1870; De Candido Anna Maria in America, 1880; Quassi Leonardo-Luigi in America; Venier Celeste-Costantino in Germania; Lenarduzzi Sante in Ungheria; Lenarduzzi Angelo in Ungheria; Guerra Giuseppe e famiglia in Argentina; |
Famiglia Lenarduzzi Giuseppe, Ungheria 1907.
Nel Comune di S. Giorgio della Richinvelda gli emigrati furono 170. In questo periodo, nel 1901-1914, l’emigrazione fu caratterizzata da condizioni migliori di spostamenti; non fu più incontrollata e priva di assistenza, ma selezionata ed i paesi ospitanti si organizzarono meglio e si dimostrarono più disponibili a livello sociale ed igienico-sanitario.
La seconda fase dell’emigrazione cominciò con il primo dopoguerra nel 1919, quando la disoccupazione, la crisi economica e il marasma sociale causarono un biennio di scioperi, proteste e di scontri violenti contro l’autorità statale, i proprietari terrieri e la classe padronale. Questa ondata fu caratterizzata perlopiù da ex soldati smobilitati e da giovani disoccupati o in cerca di prima occupazione. La prima guerra mondiale comportò dapprima un brusco arresto, e, in seguito, un profondo cambiamento nei flussi migratori, che in termini numerici negli anni postbellici rimasero più contenuti rispetto all’anteguerra. Pur ridotta numericamente, l’emigrazione non venne mai meno. Calarono i flussi diretti verso i Paesi europei, e assunse maggior rilievo percentuale l’emigrazione definitiva verso l’America. I Governi europei e americani cominciarono ad assumere iniziative di regolamentazione e di contingentamento dell’immigrazione, e, per la qual cosa il fenomeno migratorio fu costretto a perdere le sue caratteristiche di spontaneità. Le restrizioni alla concessione dei passaporti e la crisi economica mondiale del 1929 contribuirono in seguito a ridurre le partenze. Nel primo dopoguerra movimenti migratori cospicui interessarono anche la Venezia Giulia e Trieste, in relazione all’annessione all’Italia e ai mutamenti politici ed economici conseguenti. Negli anni Trenta gli espatri si aggirarono in media sulle 3.000 unità. Pur con un andamento alterno, subirono un rallentamento anche nei movimenti verso l’interno. Da segnalare, in questo periodo, furono i trasferimenti di famiglie nelle colonie africane e la ripresa di espatri verso i paesi germanici, favoriti dall’alleanza italo-tedesca. Molti lavoratori friulani furono assorbiti dalle grandi opere promosse dal regime: centinaia di famiglie, provenienti in prevalenza dalla Bassa friulana e dalla pianura pordenonese, si trasferiscono nell’Agro Pontino, dove parteciparono all’appoderamento delle aree bonificate e alla costruzione delle nuove città. Nel periodo interbellico emersero con crudezza le conseguenze della forte emigrazione dei decenni precedenti: la senilizzazione e la femminilizzazione della popolazione, lo spopolamento montano. Inoltre, il calo del flusso di rimesse degli emigranti contribuì all’impoverimento delle aree svantaggiate della regione. La Seconda Guerra Mondiale è finita. Le vicende belliche e le devastazioni conseguenti, insieme alla riapertura dei mercati, indussero nell’immediato dopoguerra una rapida ripresa dell’emigrazione. I flussi migratori si diressero verso tutti i Paesi europei, con l’esclusione di quelli dell’Est, i cui regimi chiusero le frontiere. Al nuovo fenomeno parteciparono in più larga misura le donne come addette ai servizi, ma anche come operaie. Tra le nuove destinazioni, si segnala l’Australia, la cui forte richiesta di manodopera e la cui politica favorevole all’immigrazione attirarono un flusso notevole di corregionali. In particolare, negli anni 1954-1958, in seguito alla smobilitazione del Governo militare alleato, dalla provincia di Trieste vi si trasferirono numerosi profughi istriani e giuliani. La quantificazione del movimento migratorio dall’area giuliana verso l’Australia in questo periodo rappresentò un problema piuttosto complesso. Secondo una recente stima che tiene conto di fonti diverse (anagrafe del Comune di Trieste, nominal rolls delle navi in partenza dal porto, archivio dell’Ufficio del Lavoro di Trieste) nel periodo 1954-1961 gli istriano-dalmati partiti insieme ai triestini potrebbero essere calcolati in circa 22.000 persone. Le cause della ripresa postbellica dell’emigrazione regionale vanno ricercate nel quadro socioeconomico, ereditato dal passato storico della regione ed aggravato dalla guerra, caratterizzato dal ritardo dello sviluppo economico, ma anche dalla presenza di aree di vero e proprio sottosviluppo, dal troppo lento ammodernamento dell’agricoltura, dallo scarso sviluppo dell’industria, dalla mancanza di una politica economica adeguata. Nonostante l’introduzione di normative e di uffici che si occupavano dell’emigrazione, come le sezioni apposite presso gli Uffici provinciali del lavoro, la modalità di reclutamento più diffusa era ancora quella tradizionale della chiamata da parte di parenti e amici, che crea la cosiddetta catena migratoria, per la quale gruppi familiari o della stessa località si dirigono nel tempo verso la stessa destinazione. Secondo gli annuari statistici, nel periodo 1946-1970 risultano espatriate complessivamente dal Friuli Venezia Giulia 363.854 persone, con una media di 14.554 all’anno. L’andamento degli espatri è, in questo periodo, come per il passato, molto irregolare, e si può riassumere in una serie di ondate di dimensioni decrescenti. Essa corrispondeva a quello nazionale e coincideva, con un paio d’anni di ritardo, con quello del tasso di disoccupazione. Nello stesso periodo i rimpatri risultarono complessivamente 211.524, con una media annuale di 8.461 unità. Il loro andamento fu anch’esso ad ondate, meno accentuate e, al contrario, crescenti. Il saldo migratorio del periodo fu fortemente negativo: la perdita netta fu di 152.330 persone, 6.093 all’anno. Le rilevazioni dell’ISTAT forniscono, oggi, alcune indicazioni sulla natura del fenomeno migratorio: il flusso in uscita risultava composto in grande prevalenza dalla fasce di età centrali (15-64 anni). Tra queste, le giovanili (15-30 anni), che manifestavano il più accentuato saldo negativo. Nelle province friulane risultava elevato anche l’indice di espatrio femminile. Nelle condizioni professionali, cominciarono a prevalere le attività industriali e qualificate su quelle tradizionali. Nei primi anni Sessanta il 60% degli emigrati risultano muratori e manovali edili; negli anni successivi crebbe l’emigrazione specializzata in campo industriale, mentre vanno rapidamente scomparendo i mestieri tradizionali (fornaciai, terrazzieri, mosaicisti, pittori, ecc.). Le destinazioni dei flussi migratori del secondo dopoguerra sono in larga maggioranza (88%) europee. La destinazione più frequente era la Svizzera (47%), seguita dalla Francia (meta gettonata dall’emigrazione regionale, che si differenzia in questo caso da quella nazionale), dalla Germania, dal Lussemburgo e dal Belgio. Tra i Paesi transoceanici prevalsero l’Australia (con una partecipazione più elevata delle province giuliane) ed il Canada, seguiti dagli Stati Uniti, dal Venezuela, dall’Argentina e dal Brasile. Le province giuliane differirono inoltre nella scelta delle destinazioni da quelle friulane, dirigendosi in prevalenza verso Svizzera, Germania ed Inghilterra. L’area giuliana del resto presentò a partire dal 1958 un saldo migratorio positivo, divergendo in questo nettamente dalle province di Udine e di Pordenone. A partire dalla fine degli anni Sessanta si verificò un mutamento “storico” nelle vicende dell’emigrazione regionale, l’inversione di tendenza. Dal 1968 il saldo migratorio divenne attivo: i rimpatri superarono gli espatri, e l’emigrazione si trasformò in un fattore di crescita della popolazione. Si registrò l’esaurimento dell’emigrazione tradizionale, il cui flusso in uscita subì una flessione, mentre si mantenne relativamente costante un contingente di rientri, che in termini assoluti, superò il numero dei partenti. Dagli anni Settanta in poi questo fenomeno si è mantenuto costante, e non si verificarono più episodi di ripresa dell’emigrazione, neppure in coincidenza con eventi, quali il terremoto del 1976, che fecero temere l’avvio di nuovi fenomeni di esodo. L’inversione di segno del saldo migratorio precedette di poco nella nostra Regione l’analogo fenomeno a livello nazionale, e fu posta in relazione con il “decollo” dello sviluppo economico e della produzione industriate dell’area regionale, il cui contesto socioeconomico e il cui mercato del lavoro subirono in quei decenni profonde trasformazioni. Fino a tutti gli anni Sessanta, tuttavia, l’emigrazione è ancora percepita dalla società regionale come un grave e doloroso problema sociale, umano ed economico, come un fattore di impoverimento delle risorse umane e di alterazione della distribuzione e della composizione demografica. Al momento dell’istituzione della Regione Friuli Venezia Giulia, il primo Programma regionale di sviluppo economico e sociali (1964), incluse tra gli obiettivi la rimozione delle cause dell’emigrazione e la sua conseguente eliminazione. Nel 1969 fu istituito l’AIRE, l’Anagrafe degli Italiani residenti all’estero. La sua finalità principale era quella di agevolare gli emigranti ad inviare le rimesse di denaro alle proprie famiglie in Italia. Dall’elenco degli iscritti si può osservare l’insieme di tutti gli emigranti domaniniesi, che mantennero o vollero mantenere la cittadinanza italiana, residenti all’estero fino agli anni Ottanta. Risultano iscritti emigranti in Canada: Bisutti Anna, Bisutti Carmela, Bisutti Ezio, Bisutti Gina, Bisutti Maria, Bisutti Mario, Basso Antonietta, Col Oreste, Col Romeo e moglie, D’Andrea Venier Nives, De Candido Anna Maria, De Candido Elio, De Candido Giacomo, De Candido Antonietta, De Candido Olvino e Angela, De Candido Ricardo, De Candido Sergio, Drigo Enrico e Angela, Drigo Giorgio, Leon Bruno, Leon Elide, Luchini Egidia in Francesconi, Luchin Tullio, Marchi Fiorenza e Vitale, Marchi Lino, Marchi Ottavio e Luisa, Santin Massimo, Toppan Nene, Venier Angelina in Perusso, Venier Giuseppina e Ines. In Francia: Bisutti Anna Maria, Bisutti Florence, Bisutti Giovanni, Bisutti Gualtiero, De Candido Ferruccio, De Candido Attilio, De Candido Odovino, De Candido Leonardo, De Candido Mario e Maria, De Candido Vittorino, Marchi Elio, Marchi Francesco, Truant Bruno e Rosa, Venier Luigi. Gli emigranti iscritti in Argentina: D’Agostin Giuseppe, De Candido Giuseppina, De Piccoli Cecilia, De Piccoli Giovanni, Lenarduzzi Arturo e famiglia, Lenarduzzi Josè, Lenarduzzi Palmira in Guerra, Lenarduzzi Rosa, Lenarduzzi Sante, Lenarduzzi Ludovico, Marchi Evaristo, Marchi Giovanni, Venier Iob Alice, Venier Ada. In Venezuela: Babuin Catterina, Bisutti Giordano, Bisutti Maria, Bortolin Gastone, Cancian Giacomo, Cancian Alcide, Chiarot Beniamino, D’Agostinis Luigi, D’Andrea Rina e Gino, De Candido Bruno, De Candido Dino, De Candido Matilde, De Candido Gualtiero, De Candido Giuseppe e Iva, De Candido Zezi, De Monte Gino, De Monte Gino ed Elia, De Monte Luigi, Gaiatto Maria e Bisutti Annibale, Ciudad Oieda, Lenarduzzi Gianfranco e Catterina, Lenarduzzi Luigi e moglie, Lenarduzzi Nino e Maria, Lenarduzzi Vittorina in Toller, Leon Elia e Italia, Marchi Gino e Pierina, Soldai Luigi, Tondat Erminio, Truant Luigi, Venier Alfieri, Venier Ettore, Venier Isaia, Venier Pietro. In Svizzera: Bratti Pasquale, Canton Graziano, De Candido Arnaldo, Marchi Amato, Marchi Guglielmo, Marchi Gregorio. Negli Usa: Bisutti Dino, Bisutti Maria, De Candido Gioacchino, Luigia e Rosa, Lenarduzzi Dante, Marchi Gallo, Venier Carlo e Fernanda.In Australia: Conte Angelo, Conte Beniamino. In Belgio: De Candido Angelina. In Germania: Vadori Albano Luigi. In Olanda: Lenarduzzi Umberto, Marchi Dino. In Guatemala: Barbui Giustiniano. Momenti di unioneL’entusiasmo di una comunità unita attorno a se stessa, alle sue attività e alle sue realizzazioni è qualcosa di grande e forte, che nei momenti più drammatici della propria storia non diminuisce ma aumenta, creando qualcosa di nuovo e di più grande e duraturo.La catastrofe del terremoto si è impressa per sempre nella memoria di coloro che l’hanno vissuta e subita. Il carattere forte dei friulani e un sentimento orgoglioso di rivincita hanno prevalso sulla realtà e ha indotto la popolazione a rimboccarsi le maniche per cominciare fin da subito a ricostruire tutto. All’epoca, nella piccola realtà di Domanins si è sentita l’esigenza di creare uno spazio destinato alla gioventù e allo sport. Un gruppo di volontari ha deciso perciò di “bonificare” un’area verde ai margini del paese (nella zona dei Raggi) per creare un campo da calcio adiacente ad un grazioso boschetto, per i tifosi e per i momenti di festa e di socialità della popolazione. Questo volenteroso gruppo ha avuto il merito di aver dato vita, a Domanins, a una nuova realtà sociale e sportiva. |
Domenica 10 settembre 1978, ore 14:00. Inaugurazione del campo sportivo di Domanins. Scendono in campo le squadre per la tradizionalissima, sempre amata “Celibi – Ammogliati”.
Il 1977 è stato l’anno in cui è sorta una “società pura” calcistica a Domanins. Il terreno ad est della villa Spilimbergo-Spanio, di proprietà di Sante Lenarduzzi, è stato ceduto al Comune di San Giorgio della Richinvelda. In breve tempo, i volontari del paese si sono adoperati per costruire l’impianto sportivo: lo spogliatoio, la recinzione, poi l’impianto d’illuminazione e d’irrigazione.
L’idea di uno spazio sportivo e ricreativo attrae molti giovani di Domanins i quali rispondono volenterosamente partecipando ai lavori. Il paese può così accarezzare l’idea di avere una propria squadra di calcio e permettere così ai propri giovani e giovanissimi di imparare proprio qui il gioco più bello e popolare del mondo, senza dover andare a Rauscedo, a San Giorgio o in altri paesi.
Fino al 1980, Domanins ha solo solo le formazioni giovanili. Negli anni successivi nasce l’Associazione Calcio Domanins con la Prima Squadra iscritta al campionato dilettantistico di Terza Categoria.
I Donatori di Sangue approfittarono della novità scegliendo, nel 1980, il boschetto del campo sportivo come il luogo di svolgimento della Porchetta: la Santa Messa, i discorsi ufficiali, il pranzo, i giochi e gli intrattenimenti.
La scelta fu tra le più felici. Il preciso scopo di trasferirsi nel cuore del paese, voleva dire inserirsi nel nuovo centro pulsante giovanile, e incontrò il favore di tutta la popolazione, continuando sulla scia dell’unità sociale, nell’attività della donazione, nelle partite di calcio, nella Festa del Patrono, e in tutti gli altri appuntamenti quotidiani ed eccezionali.
Il successo e i riconoscimenti, tra l’altro, che l’A.F.D.S. ottenne nel suo primo decennale di fondazione, nel 1978, sono soprattutto frutto di questo stato d’animo e di questa realtà di cose.
Da sinistra a destra in piedi: Virgilio Bisutti, Ermanno Zuliani, Aurelio Venier, Settimo Marchi (dietro), Giuseppe Avoledo. Da sinistra a destra seduti: Gian Paolo Chiandotto, Lauro D’Agostin, Piero De Bedin.
Manifesto del primo decennale di fondazione, 1978. La tradizionale Porchetta, ai suoi albori si svolgeva a Frabosc, nel “Buschit dal Nini di Nora”. La Porchetta del 1978 è qui rappresentata nell’immagine della maialina osé, del maestro Genesio Romano, che diventerà il tema classico delle raffigurazioni della Festa del Donatore. La ridente maialina, lungi dall’avere un preciso ed esclusivo significato osé, esprime il carattere genuino e goliardico di questa singolare festa paesana.
Tutto ciò si può ammirare in questi splendidi ritratti fotografici dell’epoca. La vivezza con la quale i soggetti esprimono i momenti di gioia sono indescrivibili. Ogni foto, ogni personaggio e ogni situazione parla da sé. Parlano tutti un linguaggio immediato ed accattivante tale da rapire facilmente l’attenzione di chi li osserva. La felicità di quei momenti appare così ingenua e spontanea da essere per noi invidiabile, per la consapevolezza che è forse improponibile ai giorni nostri.
Festa del Patrono del 1978. Il tiro alla fune, la gara di biciclette e la corsa dei polli.
La tradizionale lotteria (“Pesca”) della Festa del Patrono. Gigi Fornasier , Fides Babuin e Alba Lenarduzzi. 1980.
I campioni sportivi di Domanins degli anni Settanta:
Rino De Candido incominciò nel 1971 a vincere il campionato allievi. In seguito, nel 1975, divenne medaglia d’oro nella Coppa del Mondo dilettanti militari a Montreal e, sempre nello stesso anno, vinse, ad Algeri, i Giochi del Mediterraneo. Campione italiano allievi nel 1973, quattro campionati italiani su pista vinti negli anni settanta. Medaglia d’oro al valore atletico.
Per il judo e la lotta marziale, Marino Marcolina vinse titoli italiani di categoria negli anni dal 1975 al 1979. Ha partecipato ai Campionati Europei nel 1972, nel 1975 e nel 1979 vincendo, in quest’ultima edizione, la medaglia di bronzo nella gara a squadre. Inoltre, ha vinto tornei internazionali per rappresentative nazionali in Cecoslovacchia nel 1972, e il prestigioso trofeo “Abramo Oldrini” nel 1978. |
Bilancio donazioni
1973: donazioni 58 donatori 62
1974: donazioni 62 donatori 69
1975: donazioni 64 donatori 70
1976: donazioni 48 donatori 56
1977 donazioni 31 donatori 53
1978 donazioni 44 donatori 51
1979 donazioni 29 donatori 53
Benemerenze
– – – 1973
Santin Bruno donazioni 25 medaglia di bronzo 1974
Luchini Luigi donazioni 10 diploma di benemerenza 1974
Bertazzo Giuseppe donazioni 10 diploma di benemerenza 1974
Pancino Ferruccio donazioni 10 diploma di benemerenza 1974
Lenarduzzi Sante donazioni 35 medaglia di argento 1975
Giacometti Eliseo donazioni 25 medaglia di bronzo 1975
Taiariol Delfino donazioni 10 diploma di benemerenza 1975
Vivan Giorgio donazioni 25 medaglia di bronzo 1976
Lenarduzzi Giovanni donazioni 10 diploma di benemerenza 1976
Soldai Umberto donazioni 10 diploma di benemerenza 1976
Pancino Giuseppe donazioni 25 medaglia di bronzo 1977
Venier Rizieri donazioni 10 diploma di benemerenza 1977
Marcolina Danilo donazioni 10 diploma di benemerenza 1977
Lenarduzzi Valerio donazioni 10 diploma di benemerenza 1977
Fabbro Luigi donazioni 10 diploma di benemerenza 1977
Babuin Luciano donazioni 10 diploma di benemerenza 1977
Martini Arduino donazioni 25 medaglia di bronzo 1978
Galasso Alberto donazioni 10 diploma di benemerenza 1978
Marchi Settimo donazioni 10 diploma di benemerenza 1978
Gaiatto Mario donazioni 10 diploma di benemerenza 1978
Tondat Giuseppe (’50) donazioni 10 diploma di benemerenza 1978
Bisutti Terenzio donazioni 10 diploma di benemerenza 1979
Pellegrin Vally donazioni 10 diploma di benemerenza 1979
Babbo Natale 1979, casa del Pustìn.